Abbiamo intervistato La Femme Brutal. Il duo viene da Barcellona e promette molto bene. Se ami chitarre e sonorità crude, questa è la band giusta per te. Se ci aggiungi anche un pizzico di critica alla società patriarcale e maschilista, questa è la band ideale! Per noi di Spacebar è stata una piacevole scoperta e speriamo riescano a cavalcare i palchi più importanti d’Europa. Bando alle ciance, ecco La Femme Brutal.
- Partiamo dalla domanda più ovvia: perché avete scelto questo nome?
Perché pensiamo che l’archetipo cinematografico associato a una Femme Fatale sia in realtà imposto dal patriarcato, che associa con qualcosa di brutto una donna intelligente e potente immersa in una vasca di squali. Non si tratta di donne “fatali”, ma di donne violente e grandiose, brutali appunto. - Da dove venite e in che modo le vostre origini hanno influenzato la musica che fate?
Siamo di Barcellona e le nostre origini ci hanno influenzato poco, soprattutto se ci riferiamo alla musica spagnola o catalana del passato. Ci è sempre piaciuta di più la musica anglosassone, il rock, l’indie, il garage, il punk-rock proveniente dagli Stati Uniti o dal Regno Unito. Nonostante i nostri riferimenti siano questi, abbiamo deciso di
cantare in catalano e in spagnolo, perché sono le lingue con cui comunichiamo. - Continuiamo con la vostra musica: come la definireste?
Garage-punk-rock, DIY, riot grrrl dallo spazio. - E se vi chiedessi di tracciare un parallelo tra le vostre canzoni e il cinema o la letteratura?
I nostri punti pilastri sono i contenuti comici, quelli sull’amicizia, l’improvvisazione e il fare musica
per puro divertimento, senza pretese. Il fatto stesso di farlo è la parte più interessante di tutto questo processo. Non abbiamo mai pianificato nulla. In letteratura saremmo qualcosa di scritto da una donna della Beat generation (Elise Cowen?). E nel cinema saremmo un film verité diretto dalla grande Agnes Vardà, a cura di Masahiro Hirakubo, ovvero il montatore di Trainspotting (lo abbiamo appena cercato su Google!), con colonna sonora made in Bikini Kill. - “Ciudad Muerta“… Il nome di questa canzone ha qualcosa a che fare con quello che è successo a Barcellona il 4 febbraio 2016, con Patricia Heras e con il documentario? [per ulteriori dettagli sul cosiddetto Caso 4F vedi qui]
Anche se il documentario ci è piaciuto, non ha assolutamente nulla a che fare con questa tragica storia. - Che cosa ne pensate del contesto musicale di Barcellona? C’è una situazione favorevole alla crescita di artisti emergenti?
La situazione è favorevole, ma c’è ancora molto da fare. Siamo molto felici di far parte di una nuova ondata di punk-rock in cui comincia anche a esserci molta parità tra i generi. - Questa intervista è rivolta a un pubblico che conosce l’italiano. Come vi presentereste ai più grandi amanti della pizza e della pasta?
Vogliamo venire in Italia! - Avete qualche punto di riferimento musicale italiano?
Non proprio. Suggerimenti? - La vostra musica ha un suono grezzo e diretto. Quali sono i vostri punti di riferimento? Se non vi piacciono i
paragoni, spero che almeno diciate qualcosa o qualcuno che proprio non vi piace.
Ty Segall, Bikini Kill, The Breeders, Savages, Aliment, Blink 182, The White Stripes, Bass Drum of Death, Sonic youth, The Distillers, Thee Oh Sees. - Una canzone della storia della musica che odiate?
È troppo complicato rispondere! Due persone non possono essere d’accordo su questo [ridono].
- La vostra canzone che più vi rappresenta?
Tutte. Perché fanno parte di quello che facciamo, non cerchiamo nulla, sorgono e basta. Ecco perché anche la
peggiore canzone che abbiamo fatto ci rappresenta. Sappiamo che Ciudad Muerta piace, è una di quelle canzoni che crei e fai un drop the mic, perché non hai mai pensato di poter creare qualcosa che suonasse anche solo un po’ bene. Esplendor è una freccia punk che parla della nostra amicizia, Protocol Intocable critica l’establishment e
Primera línea de combate è una chiamata alle armi nella lotta per la parità tra i generi.
Intervista a La Femme Brutal della redazione di Spacebar